Boniek a Corsport: "Juve squadra fortissima"

30.04.2016 13:15 di Redazione TuttoJuve Twitter:    vedi letture
Boniek a Corsport: "Juve squadra fortissima"
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

L'ex bianconero Boniek parla al Corriere dello Sport: "Alla Juve capii che dovevo vestirmi meglio, visto il loro look. Ero arrivato solo con jeans e maglietta e allora andai da uno stilista alla moda e mi comprai vestiti che a me sembravano appropriati. Ma solo a me, tanto erano sgargianti. Quando entrai nello spogliatoio vestito così gli altri applaudirono. Temo non per approvazione. Al primo allenamento chiesi a Zoff se dovevo dargli del tu o del lei. Lui mi guardò e sorrise. Era una squadra fantastica. Nove italiani e due stranieri. E, se posso dirlo, due stranieri di qualità. A me sembra questa la miscela giusta. Io andavo d’accordo con tutti. Nello spogliatoio c’era chi non si parlava da un anno ma io ero amico di tutti. Trapattoni era un allenatore eccezionale, il migliore che ho avuto in tutta la mia carriera, insieme a Piechniczek».

Cosa pensa della vicenda Platini? Proprio in questi giorni sono cadute le accuse più gravi contro di lui. «Io penso che sia stata una cosa politica. Guardi, se Michel avesse avuto davvero scheletri nell’armadio non si sarebbe candidato. Io so che Michel è una persona per bene e sono dalla sua parte. Vorrei che fosse lui a consegnare la coppa all’Europeo in Francia, nel suo paese». 

Cosa le viene in mente, se le ricordo la finale persa di Coppa dei Campioni ad Atene contro l’Amburgo? «Mi viene da dire solo porca miseria. Ricordo che nello spogliatoio, dopo venti minuti di silenzio assoluto, ci promettemmo che dovevamo di lì in avanti vincere tutto, e in particolare la Coppa dei campioni. E così fu. Io arrivai ad Atene dalla nazionale polacca tre giorni prima della partita, trovai i ragazzi concentrati. Ma poi in campo eravamo sotto tono. Noi eravamo più forti ma loro erano forse meno stressati. Mi dispiace molto, specie per i sessantamila tifosi in lacrime allo stadio. Non li dimentico».

Secondo lei, se un paragone è possibile, era più forte quella Juventus o il Barcellona di questi anni? «Per me quella Juventus. In tre anni facemmo tre finali. Ma certo i paragoni sono impossibili. Prenda Maradona e Messi: uno è stato marcato sempre a uomo, l’altro sempre a zona. Se sei marcato a uomo tocchi meno palloni e ti  [Maradona e Zico] menano, ma tanto. Lei pensi se Maradona giocasse oggi, con tutti gli spazi che ha Messi. Pensi che durante una partita Juventus-Napoli nello spogliatoio ci dicemmo che l’unico modo per fermarlo era menargli di brutto. Ma dopo dieci minuti in campo ci guardammo e ci dicemmo che no, era troppo bello vederlo giocare».

Com’ era il suo rapporto con Agnelli? Non le chiedo per l’ennesima volta del “bello di notte” che l’avvocato disse, per presentarla, a Kissinger. Definizione nata, forse, proprio in quella partita con il Liverpool… «Era un uomo affascinante e divertente. Se ti citava voleva dire che ti stimava. Altrimenti ti ignorava. Ricordo che il lunedì mattina alle sei chiamava Michel o me e ci chiedeva giudizi su giocatori stranieri. “Com’è Robson?” Il martedì trovavamo queste valutazioni nelle interviste che rilasciava ai giornali. Si fidava evidentemente di noi».

Mi dica anche il suo ricordo della notte terribile dell’Heysel. “Ho un ricordo angoscioso. Noi non volevamo giocare. Fummo costretti, per ragioni di ordine pubblico. Noi sapevamo che ci avrebbero dato addosso comunque: se avessimo giocato sul serio, se non lo avessimo fatto, se avessimo esultato per un gol e se non lo avessimo fatto. Noi sapevamo che c’erano dei morti ma non la proporzione. Io l’appresi all’alba a Bari. La Juve mi aveva messo a disposizione un aereo della Fiat per andare a Tirana, dovevo giocare con la Polonia. Partii in piena notte da Bruxelles ma non ci fecero atterrare in Albania perché l’aeroporto era chiuso. Facemmo così scalo a Bari e, mentre prendevo un caffè con il pilota, scoprii che i morti erano stati trentanove. Fui distrutto. Pensi che io non volli una lira per quella partita, diedi tutti i soldi alla fondazione che si occupava delle famiglie delle vittime. Mi sembrava il minimo».

Quella fu la sua ultima partita in bianconero. Perché andò alla Roma?«E’ una storia che racconta come erano quei tempi, almeno in Polonia. Io, prima di passare alla Juventus avevo firmato  [Maradona - Platinì 2] con Dino Viola. Ma allora era il Ministro dello sport a decidere se un giocatore poteva andare via dalla Polonia. La Roma poteva pagare l’acquisto in tre rate e il ministro non era d’accordo. La Juve si offrì di pagar subito. E fui bianconero. A Viola dissi che se fossi andato bene tre anni dopo, il tempo del contratto, sarei andato in giallorosso. Dopo due anni e mezzo mi cercò. Lo vidi a Firenze. Mi feci prestare la Ferrari da Michel. Per fare prima ma anche perché pensavo che arrivando in quel modo avrei avuto un contratto migliore… Aggiungo che alla Juventus si stava concludendo un ciclo».

Altra sconfitta inspiegabile, come quella in bianconero con l’Amburgo.«Si dice che questo è il bello del calcio. Sarà… Io ho ancora i bruciori di stomaco se ripenso a quel giorno all’Olimpico. Vincevamo uno a zero e, se l’arbitro non ci avesse annullato un gol per un fuorigioco inesistente, saremmo andati sul due a zero. Poi non so cosa successe ma bum bum bum, ci fecero tre gol e ci stesero. Se si rigiocasse mille volte quella partita non finirebbe così…».

Come vede la Juve dei cinque scudetti? «Un’impresa straordinaria. Tutti meritati. Squadra fortissima, grande allenatore e, soprattutto, società solida, capace di far rispettare le regole. Cosa che alla Roma, l’unica squadra che potrebbe competere, è sempre stato e temo sarà sempre molto difficile».