DI CARLO, CORRENTI E QUEL COMO-JUVENTUS DEL 1975...

18.04.2012 00:30 di Thomas Bertacchini   vedi letture
DI CARLO, CORRENTI E QUEL COMO-JUVENTUS DEL 1975...
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

"Bisogna stabilire una volta per tutte questa regola perché non può essere applicata una volta ogni tanto e su chi vogliono loro. Ciascuno di noi, durante e dopo le partite, magari non si rende conto di quello che dice. Si sputa fuori una parola ma lo fanno anche gli altri. La regola deve essere uguale per tutti".
Domenico Di Carlo, allenatore del Chievo, ha sfogato in questo modo la propria rabbia verso la squalifica di un turno affibbiata dal giudice sportivo ad un suo giocatore, Sergio Pellissier, reo di aver pronunciato «espressioni blasfeme» negli spogliatoi dello stadio "Bentegodi" al termine della recente gara disputata contro il Milan.

Di Carlo, al pari di Davide Lanzafame (all'epoca in forza a Parma), è stato una delle prime vittime mietute dal giro di vite imposto dal  consiglio federale della Figc lo scorso 9 febbraio 2010: "L'arbitro avrà la facoltà di punire con il cartellino rosso la bestemmia detta dal giocatore in campo" aveva dichiarato solennemente Giancarlo Abete, il presidente della federazione. E se il direttore di gara non si dovesse accorgere di nulla? Nessun allarmismo, in suo soccorso ci sarà sempre l'uso delle telecamere.

Va da sé che il problema della corretta applicazione di questa norma resta attuale ed ha origini lontane nella storia del calcio nostrano: l'episodio più celebre - citato con frequenza ogni qualvolta ne accade uno simile - risale al 1975, e capitò nel corso di un Como-Juventus disputato alla seconda giornata del campionato di serie A (12 ottobre).

Claudio Correnti, ex colonna della squadra lombarda, a distanza di trentacinque anni esatti da quegli attimi li ha nuovamente raccontati al quotidiano "Corriere di Como": "Fu un episodio increscioso, il primo in assoluto in Italia. Noi del Como eravamo in vantaggio sulla Juve per due reti a una. Mancava un minuto alla fine della partita. Io incitavo i miei compagni a tenere la palla in attesa del fischio di chiusura. Scanziani la buttò in tribuna e lì per lì gliene dissi di tutti i colori e bestemmiai". L'arbitro Menegali, sentite chiaramente le imprecazioni di Correnti, decise di assegnare un calcio di punizione a favore dei bianconeri, che riuscirono a pareggiare grazie ad una deviazione involontaria di Fontolan (autore del momentaneo vantaggio) sul tiro scagliato da Cuccureddu.

Apriti cielo (verrebbe da dire, visto l'argomento): al termine della gara da una parte Beniamino Cancian, il tecnico dei padroni di casa, non riuscì a placare la sua ira ("Tutti bestemmiamo in campo, non è una bella cosa, ma succede sempre così. E noi dobbiamo perdere una vittoria ormai acquisita soltanto perché l'arbitro ci fischia una punizione contro perché uno tira un moccolo! E' una cosa che non sta né in cielo né in terra. C'è da tirare qualche moccolo adesso, non prima"), mentre dall'altra, in casa juventina, Carlo Parola preferì abbassare i toni delle polemiche ("E' il destino, non il miracolo. Le partite durano novanta minuti, e c'è posto per il goal prima che chiudano. Poi, a Como noi ci siamo abituati e in particolare Cuccureddu: già in amichevole aveva segnato nel finale con una leggera deviazione. Non ha fatto che ripetersi").

Erano anni in cui lo scudetto diventava un affare privato tra i club torinesi: in quella stagione lo vinsero i granata, precedendo i bianconeri campioni d’Italia in carica che si rifecero poi nelle due successive edizioni.

Tornando alla gara di Como, Correnti ha confessato inoltre di averla passata liscia ("L’arbitro Menegali mi disse che avrebbe anche dovuto espellermi e, quindi, mi andava ancora bene") e di essere stato sostanzialmente d'accordo con l'atteggiamento rigido tenuto dalla Figc contro chi si macchia di simili comportamenti: "Sì, lo condivido. Questo è un valore perché adesso la regola e la relativa sanzione valgono per tutti. Ai miei tempi, invece, venivano puniti solo alcuni, come il sottoscritto. Se la norma fosse stata applicata senza guardare in faccia ad alcuno, le partite sarebbero finite con cinque o sei giocatori per parte in campo...".

Dai buoni propositi ai fatti concreti la strada da percorrere è impervia: nella sostanza accade spesso che viene deciso di aggirarla, evitando di arrivare a destinazione per poi vagare senza meta intorno al problema. Per questo motivo stride con la situazione attuale (descritta da Di Carlo) la soddisfazione espressa  dal presidente del Coni Giovanni Petrucci negli istanti successivi la riforma voluta e attuata nel febbraio del 2010: "Abete, che mi ha chiamato subito, ha dimostrato ancora una volta di essere un presidente di spessore. Sono grato a lui e al mondo del calcio. L'arbitro ora, con delle regole certe, saprà quello che deve fare. Era quello che auspicavo. Non è una guerra santa, ma una questione di rispetto e di etica".

Dal 1975 al 2012, però, le cose non sembrano essere cambiate così tanto.