Gli eroi in bianconero: NENE'

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
03.02.2011 10:00 di  Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: NENE'

Campionato 1963/64. Miranda ha fatto le valige, la ricerca del nuovo centravanti è difficile, meticolosa; inutile cercare in Italia, i pezzi pregiati scarseggiano e quei pochi non sono in vendita. All’estero, del resto, non è tutto oro quel che luccica.

La scelta, complice anche il caso, viene fatta una calda sera di fine giugno 1963; al “Comunale” torinese, gremito di folla, è di scena il Santos di Pelè in una amichevole di lusso, che segna l’arrivederci della squadra bianconera al suo pubblico.

Al centro della prima linea juventina gioca un francese alquanto referenziato, Douis si chiama, e la prova sua è molto attesa in prospettiva di un eventuale acquisto. Ma Douis non convince e finisce che pubblico ed osservatori puntano gli occhi su un giovanotto color ebano che, nelle file del Santos, dialoga con disinvoltura con “Sua Maestà” Pelè. Si chiama Claudio Olinto de Carvalho, per tutti più brevemente Nenè, ventuno anni scarsi.

Non è un centravanti di stampo classico, ma piuttosto un uomo di manovra dotato di buon dribbling e tiro rispettabile, veloce e fisicamente piuttosto solido. Non si tratta nemmeno, ad onor del vero, di una novità assoluta; sul conto di questo ragazzo sono pervenute già indicazioni lusinghiere. Ma è la sua prestazione in quella notturna a convincere i dirigenti bianconeri che vale la pena di acquistarlo. Tanto più che trainer di quella Juventus è un signore pure brasiliano, di nome Amaral, e, dunque, per il giovane attaccante i problemi di ambientamento si prospettano di più facile soluzione. Non è, non può essere, un acquisto esaltante; il tifoso più esigente e facile al mugugno storce la bocca. Eppure è un acquisto meditato, soppesato in tutti i possibili risvolti. Forse non sarà Charles, ma certo non è l’ultimo arrivato. Il campionato che va ad iniziare, pur tra tante contraddizioni ed incertezze, confermerà che la scelta è stata felice.

Racconta così la sua infanzia: «Iniziai nel Flamengo di Santos, una squadretta di quartiere e, naturalmente, giocavo scalzo; poi, dalla strada alla spiaggia. A quindici anni ero con il Senador Feijò, come junior e fu così che un compagno mi portò nel Santos, per un provino, dopo che avevo trascorso un altro anno con l’Endustrial. Fu così che conobbi Pelè, il signor Edson Arantes do Nascimento».

Nenè ha un carattere stupendo; è esemplare l’affabilità, la modestia, la cortesia di questo giovanotto. Ne rimangono conquistati un po’ tutti, compreso capitan Sivori, notoriamente restio a concedere la propria confidenza ai nuovi arrivati. Per i tifosi è una scoperta felice, Nenè diventa beniamino sin dai giorni del ritiro precampionato in quel di Cuneo. «Incominciai il periodo del noviziato a Torino in un albergo. Devo dire che, in principio, non mi ambientai affatto. Io non parlavo l’italiano, nessuno mi capiva. Poi Carlo Mattrel mi ospitò in casa sua e trovai un po’ di calore umano. Conobbi la ragazza che è diventata mia moglie».

Amaral che, con l’arrivo di Dell’Omodarme e Menichelli, dispone di due ali di ruolo capaci di trovare sulle fasce laterali le soluzioni di forza per andare in goal, affida a Nenè il compito di centravanti di manovra e lo dispone tatticamente, sulla falsariga del modulo 4-2-4, a stretto contatto operativo con Sivori. È un modulo che fa discutere, certi meccanismi funzionano in modo estemporaneo ed estemporanea, principalmente, è la vena di Sivori, ma intanto Nenè si cala piano piano nei compiti assegnatigli. Alla terza giornata, è un mercoledì; la Juventus, che ha già fatto cilecca in quel di Modena, rifila quattro “pere” al Bari ed esemplifica le concezioni tattiche del suo allenatore con grande prestazione corale. La terza segnatura porta la firma del brasiliano; una lunga azione personale conclusa con dribbling al portiere e palla accompagnata in fondo alla rete sguarnita.

Per Nenè è l’inizio di un periodo di felicissima vena; quattro giorni più tardi, a Genova, la Sampdoria è sconfitta (0-2) da un rigore di Sivori e da una acrobazia di Nenè, che emula di testa addirittura il Charles di fresca memoria. Ed andiamo avanti; quinta giornata, la Juventus impatta (1-1) con la Fiorentina ed è ancora il brasiliano a segnare la rete dell’iniziale vantaggio. La serie d’oro continua anche la domenica successiva; nel 3-1 inflitto alla Roma, Nenè realizza una significativa doppietta e Sivori, in tribuna perché squalificato, applaude convinto. Nenè è acquisto azzeccato, una delle note più positive di quel traballante e movimentato inizio di stagione.

Il derby di andata è limpido, bianconero come pochi altri; 3-0 nel primo tempo, il Torino accorcerà soltanto negli ultimi minuti e sarà troppo tardi. Il primo goal bianconero è di Nenè, che gioca una partita esemplare per impegno e continuità di azione. Adesso, è davvero un personaggio; simpatico ai tifosi, ma, soprattutto, bravo come pochi lo avrebbero pronosticato.

Amaral viene esonerato; al suo posto arriva un signore attempato, si vede subito che deve essere un gentiluomo d’altri tempi, si chiama Monzeglio e fu terzino grandissimo agli albori del Girone Unico. Il primo cambiamento, ed anche significativo, è che la Juventus torna al gioco tradizionale e non c’è posto per un centravanti che non faccia il centravanti al modo antico; Nenè, allora, deve adattarsi a giocare come punta autentica, spostando più avanti la sua zona operativa. Deve in sostanza adattarsi al linguaggio tecnico dell’area di rigore e ci vuol poco a capire che non è facile.

Ma i risultati sono subito incoraggianti; anche nei panni dell’attaccante puro, Nenè si fa rispettare ed il bisticcio tecnico viene superato con prestazioni largamente positive. Due partite, in special modo, confermano della sua capacità di adattarsi assai bene ai nuovi compiti; a “San Siro” contro il Milan ed al “Comunale” torinese contro l’Inter. Nella prima occasione, gioca un primo tempo esemplare incorniciandolo con una stupenda rete, che merita di essere raccontata; su un traversone dalla sinistra, il suo stacco di testa precede l’intervento di Barluzzi e Maldini e spedisce la palla nell’angolo alto alla sinistra del portiere. Contro l’Inter, nella miglior partita della squadra juventina di quella stagione, Nenè non segna per sfortuna, propiziando comunque due delle quattro reti bianconere. Ancora reti prima di concludere: al Mantova (1-1) fuori casa ed al Catania (4-2) nel commiato casalingo, con esecuzione dagli undici metri.

Ma tutto l’ambiente non è soddisfatto; serviva un centravanti. Ma non un centravanti qualsiasi, questo era il guaio. Alla Juventus, in quel 1963, era ancora troppo vivo il ricordo di “Re Giovanni”, alias John Charles, che tutto era fuorché centravanti qualsiasi. Non si può sostituire a cuor leggero uno come Charles; e, prima di lui, forse che era stato agevole sostituire Gabetto, o Borel II° detto “Farfallino”?

Non era difficile, piuttosto, capire che, con quelle lunghe gambe, Nenè, non avrebbe mai potuto essere un rapinoso calciatore d’area. Era alto 1,82 e pesava 78 chilogrammi: forse poteva diventare un buon centrocampista, ma la cosa non interessava, anche perché questo avrebbe significato ammettere un errore.

Un giorno, ricordando il suo primo anno italiano, Nenè disse: «Alla Juventus cercavano un centravanti; io non lo ero; ricoprivo, infatti, il ruolo di ala destra ma, talvolta, anche quello di tornante. Per via delle mie lunghe leve ero molto veloce in progressione; prediligevo partire da lontano per poi, giunto sul fondo, crossare verso i compagni piazzati in area di rigore».

Segnò 12 goal in 36 partite, ai responsabili della Juventus quei goals non parvero sufficienti. Così fu decisa la cessione. «Passai al Cagliari e non tutti sanno che devo essere stato l’unico calciatore al mondo venduto a rate. Prima un venticinque per cento, l’anno dopo un altro venticinque e così via».

Era il Cagliari che, trascinato da Gigi Riva, tentava la conquista di un posto nell’aristocrazia del calcio. Erano, quei giocatori, le prime tessere di un mosaico che, nel 1969/70, avrebbe vinto lo scudetto. Con il Cagliari giocò dodici stagioni, alcune magnifiche, buone altre, in ogni modo tutte dignitose. Come aveva fatto con Riva, la Sardegna aveva adottato anche lui. Il gioco del calcio ha continuato ad affascinarlo e così, finita la carriera di giocatore, sempre a Cagliari ha iniziato quella d’insegnante, per poi tornare alla Juventus come allenatore del vivaio giovanile bianconero.