Moby Dick - Patteggiare significa ammettere. Conte, il gladiatore con la spada di piuma

01.08.2012 00:00 di Alvise Cagnazzo   vedi letture
Moby Dick - Patteggiare significa ammettere. Conte, il gladiatore con la spada di piuma
© foto di Tutto Juve

Nell’incastro dei sentimenti, quelli che rendono un po’ più borghese il mondo, l’accettazione di un tradimento è forse la più primitiva delle forme esistenti di patteggiamento. Un accordo tacito, da regolare per salvare le apparenze e non sgualcire il corredo. Quello riposto nel baule vicino la camera da letto, quello chiuso in buste quasi sigillate dal tempo per illudersi di come tutto sia rimasto come era. Accettare la freddezza fra le lenzuola per qualche tempo non pare essere il più pruriginoso dei mali nella società in cui la colpa, sin dai tempi dei peccatori buoni Adamo ed Eva, è sempre stata “dell’altro”. Così, può accadere che per il nugolo di benpensanti patteggiare un sentimento, in questo caso quello dell’innocenza, possa persino rappresentare una invettiva verso quella giustizia sportiva così assetata di verità da trasformare ritrattazioni a dir poco grossolane in repentini attacchi di verità. E invece, al di fuori di ogni ipocrita schema mediatico, patteggiare significa tradire, tradire significa scendere a patti ed ammettere una colpa.

Che sia quella dell’impossibilità di dimostrare come il calcio non sia uno sport pulito e nemmeno da verginelle o che, in fondo, a fine campionato, da oltre sessanta anni la sistemazione di risultati pilotati sia una fisiologica esigenza fra una squadra già vittoriosa ed una ancora in cerca di punti salvezza, non fa differenza. Che i due Mondiali azzurri vinti dall’Italia ai tempi del fascismo mussoliniano, ovvero della più barbara manifestazione di mediocrità e ignoranza, siano stati frutto di un burattino nero capace di convincere un arbitro dai tratti nordici a “sigillare” qualcosa come sei risultati su otto è storia documentata da filmati, dichiarazioni e servizi di importanti emittenti satellitari. Che i vincitori diventino vinti cedendo la loro onorabilità in cambio di un gesto di pidduista cortesia, anticamera di quel legame increscioso fra vezzo e vizio, non deve sorprendere. Anche alla luce di comportamenti avvenuti in contesti politici nei quali, nel silenzio assordante di quei media oggi narcotizzati, si ignora la proprietà di case, la partecipazione a matrimoni mafiosi e persino la connivenza, conclamata e descritta minuziosamente in sentenza prescritte, fra la politica e le associazioni malavitose.

A stupire, semmai, è che il calcio sia ancora oggi in grado di offrire un significato profondo ed assai chiaro persino agli occhi di qualche miope qualunquista. Chiamato a riflettere, più per inerzia che per propria volonta, sulla necessità di un’inversione di tendenza. In un paese, quello chiamato Italia, nel quale risulta praticamente impossibile gestire il rapporto fra legalità ed illegalità. Il primo grande errore, nel paese dei liberisti da pianura e dei rivoluzionari da spiaggia, è quello di legalizzare ed esaltare il rito della scommessa. Della svago superficiale che diviene spesa forzosa se innestata in un meccanismo con milioni di bigotti fedeli pronti a giocare parte del proprio stipendio nella composizioni di schedine capaci di prosciugare le tasche ed aumentare gli interessi economici, in uno sport nel quale è possibile persino poter guadagnare sul nome del giocatore che batterà il primo calcio d’angolo. Abolire le scommesse sarebbe il primo passo, doveroso, da intraprendere. Peccato che a vivere di scommesse, legali per carità, sia anche il “Leviatano” dello Stato, si proprio quello descritto da Hobbes, pronto a fagocitare commissioni in ragione del vorticoso giro degli incassi e delle tassazioni del monopolio del vizio. Con buona pace dell’ottimo lavoro svolto con assoluta professionalità da una magistratura costretta “a fare bene ed a fare presto” senza alcun plauso mediatico, ad emergere è quindi l’impossibilità di sradicare dal tessuto sociale del paese un’abitudine insana e francamente nemmeno affascinante se logicamente ricondotta al volume del caso, della fortuna.

Il patteggiamento di Antonio Conte, scuse poco credibili a parte, dimostra come anche un gladiatore possa scoprire di aver imbracciato una spada di piuma incapace di pungere, questo si, ma pronta ad infastidire ed irritare chi, nell’epoca delle lobby e dei mecenati, non accetta i compromessi quando in gioco vi è la reputazione di un uomo simbolo. Le pressioni del datore di lavoro, ovvero quelle della Juventus, scuse a parte, possono rappresentare una appendice assai esile intorno alla quale erigere il muro invalicabile del rispetto nutrito dal tecnico nei riguardi della società. La testa, come predica Conte ai suoi giocatori, non deve mai esser chinata. Nemmeno dinnanzi a ragioni di Stato se a rimetterci è la dignità sportiva di un allenatore integerrimo. L’accordo fra l’accusa e la difesa, perché di questo si tratta, rappresenta una sconfitta globale dell’intero movimento. “Brutti, sporchi e cattivi” era la definizione con la quale venivano un tempo etichettati i calciatori di talento come Sivori. Oggi, con la medesima accezione, ad esser ricordati saranno invece altri interpreti, assai meno nobili, di uno sport che ha perso la propria credibilità…

 

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CHI E' ALVISE CAGNAZZO - Alvise Cagnazzo (1987) è nato a Bergamo e vive a Bari. Giornalista, scrittore, autore e conduttore televisivo, è il più giovane vincitore del premio “Miglior giornalista di Puglia” sezione carta stampata -sport, istituito dall’Odg. È autore dei libri “Tutti zitti, parlano loro”, (2007), “Semplicemente Rafa” (2010) e, “Montero, l’ultimo Guerriero (2010) e, sempre per Bradipolibri, "Antonio Conte, l'ultimo gladiatore" (2011). Ha collaborato con Carlo Nesti. Ha condotto, per centosessantaquattro puntate, il programma televisivo “Parliamo di calcio”, in onda su Rtg Puglia in prima serata. È firma di Calcio2000, mensile nazionale e internazionale fondato da Marino Bartoletti, diffuso in trentadue paesi. Collabora con il giornale “Puglia”, fondato da Mario Gismondi, ex direttore del “Corriere dello Sport”. Collabora con “Il Riformista”. Editorialista per “Tuttojuve.com con la rubrica Moby Dick”. Ha partecipato come opinionista tv a “Quelli che il calcio” su Rai 2 e “La giostra dei Gol” su Rai International.